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domenica 20 gennaio 2013

Il processo No Tav trasferito nell'aula bunker del carcere delle Vallette di Torino


È di queste ore la notizia del trasferimento del processo ai 45 NoTav nell’aula bunker del carcere delle Vallette di Torino, a partire dal 1° febbraio. Questo spostamento sancisce in modo inequivocabile la scelta di dare una lettura politica a tale processo.
L’aula bunker del carcere delle Vallette, chiusa per vent'anni, accoglie ora il processo Minotauro, ed è già stata sede per un passato processo contro due sindaci No Tav poi assolti dalle imputazioni relative ai fatti del 2005. L'aula bunker è simbolo della pericolosità di imputati, per i quali la scelta del luogo è scelta di alienazione e distacco, isolamento delle attività processuali dalla vita civile e dalla condivisione che di esse dovrebbe esser resa possibile. Ma è una scelta non connaturata alla gravità delle imputazioni relative a questo processo, per questo l’interpretazione indotta è che sia scelta politica: alzare il tiro per rendere più grave agli occhi dell’opinione pubblica qualcosa che oggettivamente grave non è. Non si parla infatti di criminalità organizzata o di costituzione di banda armata; non si tratta di gravi truffe o di omicidi. Si parla di reati dovuti a lesioni, resistenza a pubblico ufficiale, danneggiamento o al più devastazione – dove per devastazione si debba intendere il taglio di qualche metro di rete metallica usata per recintare il cantiere di Chiomonte. Tutti reati per i quali una comune aula di tribunale sarebbe stata più che sufficiente.
Non certo l’aula 46 messa a disposizione il 21 novembre scorso, quando stipati i 45 imputati, i relativi avvocati e il folto pubblico in non più di sessanta metri quadri, fu chiaro sin da principio che il buon senso aveva lasciato il passo alla provocazione. Il buon senso e il senso del rispetto che avrebbero evitato, con un aula più capiente, il trambusto delle proteste di chi pigiato e accaldato si era trovato anche nella impossibilità di sentire alcunché dal momento che l’impianto sonoro non funzionava. Finché gli stessi avvocati si erano ribellati chiedendo con forza che il prosieguo dell’udienza avvenisse in un’aula appropriata.
Se ne scrisse allora, e diversi furono i presenti che testimoniarono di quella giornata tramutatasi in breve in una sonora giornata di protesta e di lotta. Vale la pena ricordarla ancora, per meglio inquadrare ora la scelta di trasferire questo processo nell’aula bunker delle Vallette, perché è pensando a quella prima udienza che tornano in mente le parole di Caselli, quando dichiarò che non era il movimento NoTav a subire un attacco politico, ma i singoli reati a esser perseguiti. Quale relazione allora si è voluta stabilire tra un luogo deputato a processi di ben altra natura e gravità e gli imputati di questo processo se non il discredito verso  le singole persone e il movimento stesso?

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