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lunedì 28 aprile 2014

Maxiprocesso: come ti trasformo una “zona franca” e una giornata di protesta pacifica in un inferno

Pietre nessuno ne ha viste volare, ma una pioggia di lacrimogeni su chi fugge e viene inseguito dalla Polizia. Testimonianze univoche che raccontano la muscolosa dimostrazione di forza verso inermi.


di Massimo Bonato

Presenti i Pm Quaglino e Pedrotta, assenti Rinaudo e Padalino, hanno continuato a sfilare i testi della difesa, interrogati sulle giornate del 27 giugno e 3 luglio 2011.

Nessuno di essi ha visto pietre volare il 27 giugno, né il 3 luglio, sia come causa scatenante della pioggia di lacrimogeni piovuta aui manifestanti da ogni lato, sia dopo, in fuga nei boschi il 27 o risalento la provinciale di Chiomonte il 3 luglio.

Da tutti emergono sostanzialmente testimonianze identiche.

Si ricorda quindi la fiaccolata della sera del 26 giugno, la notte insonne trascorsa in attesa del paventato sgombero, il segnale pirotecnico all’alba che indica l’arrivo delle Ff.Oo., e i primi lampeggianti sopra a Giaglione; la polizia nella galleria dell’autostrada e la pinza. Per tutti l’esperienza è stata simile quel 27 giugno, sia per chi è rimasto al piazzale, come E.L. che presta la propria opera nell’infermeria della Libera repubblica della Maddalena, sia per chi si è approssimato alle barricate.

Come già emerso, nessuna notifica di sgombero era stata trasmessa; nessun avvertimento preventivo volto a far allontanare la gente dai luoghi era stato lanciato, nessuno tentativo di dialogo era stato possibile. Soprattutto, per tutti la preoccupazione era che la pinza meccanica in opera sull’autostrada per tagliare la barriera frangivento potesse far del male a chi si trovava sulla barricata, sulla quale poi si è abbattuta con disinvoltura, senza rispetto per l’incolumità dei manifestanti che ancora vi si trovavano abbarbicati.

I primi lacrimogeni. La sicurezza che la via di fuga concedesse tregua nel piazzale della Maddalena, gestito dalla Comunità montana e epr l’occupazione del quale esistevano accordi precisi con il Comune di Chiomonte a cui era stato versato un plateatico. Una zona sicura, una zona di ricovero, una “zona franca” si sentirà ripetere. Mentre chi era lì rimasto, come C.G. o K.Z. si ritrova a fare in fretta i conti con un diluvio di lacrimogeni sparati da ognidove. Fin dentro la tenda che serve da infermeria, ricorda E.L., raggiunta da un fumogeno proprio mentre sta medicando una ragazza alla testa sanguinante per una manganellata ricevuta. È il caos. Per tutti sono attimi di panico. La gente non vede, non riesce a respirare, vomita, ci sono anziani che vomitano sangue, è il capogiro, la sensazione di aver le gambe tagliate e non sapere che direzione prendere per salvarsi da quell’incubo. Tanto peggiore quanto improvviso, ma soprattutto imprevisto, perché per tutti il piazzale era di pieno diritto, era appunto “zona franca”. Non resta ai presenti che fuggire tra i boschi, dove si sa, il copioso lancio di lacrimogeni non cessa, come non cessa l’inseguimento dei manifestanti in fuga da parte delle FfOo, ben oltre il necessario ormai.

Questione di muscoli evidentemente. Quella prepotenza esibita a da un agente che dice ad A.G.P. “Lo sai che tu l’acqua la prenderai dopo un bel po’ vero?” quando la donna raggiunge l’unico punto in cui spera di potersi sciacquare il volto dietro all’azienda vitivinicola. E infatti aspetterà, finché l’agente, terminato di sciacquare il casco le getterà in malo modo la gomma.

Analogo e inatteso è l’inizio del lancio di fumogeni al cancello della centrale elettrica della Garavella di Chiomonte, dove si trova L.A. e molta gente che impedisce agli agenti di agganciare con catene e funi il cancello erto a difesa della strada. I primi vengono sparati ad altezza uomo, poi non li si conterà più nella ritirata frettolosa che costringe i manifestanti a retrocedere verso il piazzale, incalzati dalle Ff.Oo. e dalla ruspa che a svelto il cancello aprendo il varco.

Ma anche il 3 luglio, allo stesso cancello non si capisce quando e perché cominci il lancio di lacrimogeni che investe le migliaia di famiglie con bambini, anziani e persone comuni, amministratori comunali giunti da Chiomonte e da Exilles e lì radunati. Quando tutto ha inizio nei prati si consuma un picnic, la gente si riposa, la manifestazione ha portato davanti al cancello una ressa di persone attraverso cui non è facile farsi largo, tanto meno trovare una via di fuga quando l’aria è satura di gas.

Il famigerato gas Cs, vietato dalla Convenzione di Ginevra in guerra, ma acettato in Italia dove si usa contro la popolazione civile. Cosa che G.T. non riesce a terminare di dire, poiché zittita da Pm e giudice. Non interessa che vi siano stati svenimenti, attacchi di panico, difficoltà alle vie respiratorie tali da protrarsi per giorni in persone che tutto si aspettavano in quella giornata di festa fuorché di dover fuggire sotto il fuoco di candelotti. “Non due o tre, come avvertimento, ma subito una quantità industriale”. Candelotti che anche ora vengono sparati là dove si veda gente, non solo nei pressi del cancello della centrale, ma sui prati tra le famiglie, su per le strade del paese tra la gente in fuga, inondando la vallata di gas.

Lo stesso accade tra i prati in cui si trovano altri gruppi e tra essi E.L. che racconta come i fumogeni raggiungano dal viadotto, sparati dall’alto, anche chi prega al pilone votivo, pericolosi black bloc dal rosario facile, e ricorda come oltre ai candelotti dall’alto provenissero pietre, lanciate non certo da manifestanti.

Nessuno vede pietre volare, ma lacrimogeni tanti, un’inifinità, in mezzo al panico di gente comune che non sa dove fuggire, e come ripararsi. Nessun casco, nessun bastone, nessuna persona travisata di proposito, tranne chi usa quel che ha addosso, un foulard, un fazzoletto, per evitare il peggio e non perdere i sensi o anche soltanto l’orientamento.

“Non credo che gridare alla polizia di andare via si possa considerare un atto violento” dichiara K.Z., eppure basta questo a scatenare una forza spropositata.

M.B. 28.04.14

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